Un Toro in crisi da matare e qualche tabù da abbattere
Chissà se l’assemblea degli azionisti del Genoa, da fissare improrologabilmente entro fine mese, riuscirà ad alzare almeno in parte la spessa cortina fumogena che avvolge il futuro del club. Immersi in astruserie assortite e alle prese con pesanti implicazioni di carattere legale e presto processuale, si fatica a comprendere chi realmente detenga le leve del potere e c’è la sensazione che gli operatori in terra europea – Spors, Blazquez, Ricciardella sino al presidente simbolo Zangrillo – siano ormai orientati a cercare autonomamente una soluzione all’impasse.
Vero che in tempi recenti è stato avallato, e accompagnato dalle necessarie garanzie economiche, l’ingaggio di Vieira, ma non basta tale evento a tranquillizzare in prospettiva. Troppo denaro serve per giungere sani e salvi alla fine della stagione e occorre agire con una certa celerità. La sola via d’uscita sarebbe la cessione del sodalizio, ma neppure su questo tema esistenziale c’è chiarezza e persino l’incarico a Banca Moelis di trovare un acquirente, è stato escluso. Un guazzabuglio pazzesco, che accresce l’inquietudine di una tifoseria neppur in grado di godersi in tutta serenità la rinascita di una squadra riemersa dalle sabbie mobili della classifica.
In attesa di luce dalla stanza dei bottoni, Vieira i suoi poulains intendono cavalcare l’onda favorevole a spese del Toro. Con tre successi estrni in carniere, Badelj e C. intendono ora abbattere un tabù che contraddice la storia secolare del Grifone e del suo tradizionale fortino, il Ferraris. L’impresa è alla portata, ma attenzione ad altre due inveterate abitudini di casa Genoa: il fallimento di parecchie stuzzicanti operazioni sorpasso in classifica (i piemontesi distano una lunghezza) e l’involontario rilancio di avversarie in crisi nera. E che il team granata attraversi un momentaccio lo dicono i risultati: un solo punto (col Monza in casa) nelle ultime cinque partite e appena quattro nelle nove più recenti. Insomma, un crollo verticale dopo un avvio scoppiettante che aveva persino scomodato sogni di grandezza.
Il gravissimo infortunio – stagione finita – occorso a Zapata, il solo terminale affidabile in organico, è stato una mazzata tremenda, tale da ridimensionare qualsiasi ambizione, ma da qui a far immaginare certe conseguenze ce ne passa. In sovrappiù mettiamoci la sempre più vibrante contestazione della piazza all’indirizzo di Urbano Cairo, diventato il presidente di più lunga milizia nella storia torinista ma senza una sola stagione sportiva degna del lontano passato.
Il Toro paga il noviziato in serie A del suo allenatore Paolo Vanoli e qualche scelta di mercato non propriamente felice, anche se – analizzati uno per uno i calciatori in rosa – questa discesa in classifica non si può spiegare.
Il Toro non deflette dall’originario 3-5-2, con il portiere Milinkovic Savic eternamente in discussione, una linea difensiva debole soprattutto in Coco e un centrocampo teoricamente robusto e manovriero ma non troppo concreto. In avanti l’unico sbocco plausibile è un ex, Sanabria, adattato prima punta ma troppo leggero come uomo d’area. Alle sue spalla la speranza del popolo granata è il risveglio di Vlasic, potenzialmente un fuoriclasse ma dal rendimento bassissimo.
Vieira, col cuore ra le rose grazie ai 4 punti incamerati nell’avvio di gestione, non ha alcuna intenzione di smontare un giocattolo così funzionale solo per il gusto di provare niove strade. Ergo, almeno inizialmente potrebbe limitarsi ad un forzato cambiamento, in terza linea, causa la squalifica a Vasquez. Sarebbe preferibile un mancino, e Matturro lo è, ma contro il Cagliari l’uruguagio ha lasciato parecchio a desiderare, soprattutto in fase di disimpegno. E’ naturale che sia in ballottaggio con Vogliacco, un destro naturale tuttavia in grado (o lui o Bani, non si scappa) di coprire l’altra metà del centro.
Per il resto, non si prevedono scossoni. Una settimana in più di lavoro ha accresciuto la brillantezza di Miretti, il quale però deve anche offrire qualche risposta a livello fisico, soprattutto nei contrasti. Nel ruolo di ala, tuttavia, potrebbe essere insidiato – magari in corso d’opera – da Messias, sempre più prorompente. Vero l’ex Milan che preferirebbe giocare a destra (per poi accentrarsi e tirare), ma in passato già cambiato versante.
Mister Patrick sta pure seguendo la crescita di Vitinha, considerato (se in forma, ovvio) un co-titolare sul fronte offensivo. Il suo innesto potrebbe anche preludere ad un cambio di modulo, dal 4-3-3- al 4-3-1-2 con Miretti o Messias alle spalle del portoghese e dell’inamovibile Pinamonti, ma la modifica costerebbe l’esclusione di Zanoli, attualmente il giocatore in più in palla.
Valutate le cartteristiche delld due squadre, i presupposti sono simili a quelli di Udine. Il Toro a livello di struttura fisica si lascia ampiamente preferire, ma – come evidenziato dallo stesso Vieira – il Genoa può controbattere con armi affilate quali la velocità e la freschezza dei suoi esterni offensivi ma anche la qualità del palleggio. Doti che durante l’era Gilardino non erano assolutamente affiorate. Dunque, è giusto insistere su questo sentiero, e pazienza se la compattezza difensiva può presentare una lieve flessione.
PIERLUIGI GAMBINO