E’ MORTO ERIKSSON, SIGNORE DEL CALCIO, UN “GRANDE” DELLA STORIA SAMPDORIANA
La sua lettera pubblica di addio è vecchia di qualche giorno: una sorta di testamento. Tuttavia, Sven Goran Eriksson era preparato a salutare questo mondo già dallo scorso gennaio, quando gli fu diagnosticato un tumore al pancreas in stato avanzato. Il rettore di Thorsby, morto all’età di 76 anni, ha fatto in tempo a visitare i club ai quali era sentimentalmente più legato, ricevendo indietro, ovunque, parte di quanto aveva regalato in fatto di capacità professionali e qualità umane. IL 5 maggio scorso i tifosi della Samp, sospesi tra ammirazione e commozione, l’hanno salutato per l’ultima volta a Marassi, prima della sfida con la Reggiana. Indimenticabili i suoi cenni di ringraziamento con la mano e quel sorriso pregno di mestizia.
Il mondo del calcio, oggi, è scosso da un’altra a notizia attesa finché si vuole ma ugualmente tremenda, che segue quella del congedo di altri personaggi a tutto tondo come Gianluca Vialli e Sinisa Mihajlovic, che lo svedese aveva allenato alla Sampdoria e poi alla Lazio, dove conquistarono lo scudetto.
Il rettore di Torsby è stato un calciatore modestissimo, ma un tecnico superlativo. A conferma che con lo studio, l’applicazione, le idee si può sopperire all’esperienza sul campo. Anche Mourinho e Sacchi erano privi di background calcistico, ma rispetto allo scandinavo sono sempre stati più scomodi, spigolosi e difficili da gestire.
Nella sua personale bacheca troviamo una Coppa delle Coppe, una Supercoppa europea, un tricolore con i biancazzurri capitolini, una finale di Champions persa alla guida del Benfica contro il grande Milan. Senza contare la parentesi prestigiosa al timone dei Leoni d’Inghilterra ed un mare di altri successi e piazzamenti di livello.
In blucerchiato Sven arrivò nel ’92, fortissimamente voluto da Paolo Mantovani, che gli affidò l’eredità di un altro magnifico uomo di calcio, Vujadin Boskov. Lo svedese non tradì mai la fiducia e per cinque anni mantenne i blucerchiati dall’ottavo posto in su, con punta massima la terza posizione, ottenuta nella stagione ’93-94, partita con la dolorosa perdita del presidente dello scudetto. Quella Samp, forte di campioni quali Pagliuca, Vierchowod, Platt, Gullit e Lombardo, inflisse un tennistico 6-1 all’Ancona conquistando pure la Coppa Italia. E l’anno successivo, nella Coppa delle Coppe, si fermò in semifinale di fronte all’Arsenal, soccombendo ai rigori dopo due partite in perfetto equilibrio.
Alla Samp erikssoniana si legano parecchi calciatori di spessore, valorizzati dal mister scndinavo, un maestro nell’ottenere da tutti il massimo rendimento. Ma un nome spicca su tutti: Rberto Mancini, che Svengo, dopo averlo apprezzato alla Samp, si portò appresso nella gloriosa avventura laziale.
Non ricordiamo un solo momento in cui Eriksson sia andato sopra le righe. Era la gentilezza personificata, arricchita da un’estrema signorilità. Con noi giornalisti era disponibilissimo, anche nelle prolungate interviste al telefono fisso (altro che cellulari…). Per i suoi ragazzi era un prezioso , pronto ad ascoltarli e a comprenderli, ma senza alzare mai la voce, preferendo sguainare l’arma del dialogo e del sorriso. Ha sempre rispettato arbitri e avversari, privo di qualsiasi vis polemica. Si è guadagnato il rispetto e la riconoscenza di tutti noi, da oggi assai più tristi.
PIERLUIGI GAMBINO